Abstract: La notte del 26 aprile 1986, e precisamente all'una, 23 minuti e 58 secondi, si verificò la prima delle esplosioni destinate a distruggere il reattore e l'edificio che ospitava la quarta unità della centrale elettronucleare di Cernobyl. Ed è significativo che per far capire le proporzioni del disastro che ha colpito sedici anni or sono la Bielorussia, la scrittrice e giornalista Svetlana Aleksievic ricorra al paragone con le cifre di un altro disastro bielorusso, quello provocato dall'invasione tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale. Negli anni di quel conflitto, scrive l'autrice nel capitolo dedicato alle informazioni storiche che introduce il suo Preghiera per Cernobyl, «sulla terra bielorussa i nazisti distrussero 619 villaggi sterminandone gli abitanti. Dopo Cernobyl il paese ha perduto 485 tra cittadine e villaggi. Di questi, 70 sono stati interrati per sempre. Durante la guerra è morto un bielorusso su quattro, oggi un bielorusso su cinque vive in zone contaminate». Per restare ai numeri, oltre due milioni di persone, tra cui settecentomila bambini, mentre fra le cause del calo demografico bielorusso le radiazioni vengono al primo posto. Preghiera per Cernobyl, però, non è un libro fatto di cifre. Al contrario. Per tre anni, Svetlana Aleksievic ha girato la Bielorussia rintracciando gli uomini e le donne che avevano visto con i loro occhi quello che l'Occidente e il resto del mondo hanno solo potuto cercare di immaginare: senza riuscirci, naturalmente, perché leggendo questo libro appare evidente come la tragedia di Cernobyl vada molto oltre la fantasia dei migliori sceneggiatori di film catastrofici hollywoodiani. Ciascuno dei testimoni oculari rintracciati ha raccontato all'autrice la sua esperienza di sopravvissuto, e lei ha costruito il suo reportage mettendo insieme tutti questi monologhi: «All'inizio lo sconcerto - ricorda un soldato -, la sensazione che tutto fosse un gioco. E invece era una vera guerra. Una guerra atomica. A noi sconosciuta: che cosa era pericoloso e che cosa no, che cosa dovevamo temere e che cosa no? Nessuno lo sapeva». Attraverso le parole dei sopravvissuti scorrono immagini terribili: come le code davanti alle farmacie, con la gente che per riuscire a procurarsi lo iodio finiva per picchiarsi; o certi pranzi a base di montone «al cesio puro» in cui la bestia macellata, nata dopo l'incidente, non aveva proprio più l'aspetto di un animale, perché a causa delle mutazioni genetiche somigliava a un mostro. «Non dimenticherò mai le donne che lavavano la nostra biancheria - dice un coscritto di quelli gettati come sabbia sul reattore -. Non avevamo lavatrici. Così lavavano a mano. Erano tutte donne anziane. Avevano le mani coperte di bolle, di croste. La biancheria non era semplicemente sporca, conteneva decine di röntgen… Saranno ancora vive?». Una donna di quelle che hanno rifiutato di farsi evacuare vive sola in un villaggio deserto: «A noi che da una vita campavamo delle nostre patate, delle nostre buone cipolle, sono venuti a dire che non si poteva più! Da non sapere se ridere o piangere… Ed è anche venuto uno scienziato di quelli importanti, a tenere una conferenza al circolo del villaggio per dirci che dovevamo lavare la legna. Cose dell'altro mondo!». Qualcuno ricorda quelli che hanno saccheggiato le case abbandonate per andare a rivendere indumenti e oggetti contaminati nei mercatini dell'usato. Tra un monologo e l'altro, le dicerie: pesci anfibi che hanno imparato a camminare sulle zampe; lucci senza testa e senza pinne, praticamente delle pance che nuotano; e c'è chi sostiene che il miglior rimedio contro lo stronzio e il cesio è la vodka Stolicnaja, o di conoscere uno che ha fotografato l'Ufo che ha fatto esplodere la centrale. Insieme con l'immane tragedia, le parole recuperate dalla Aleksievic' raccontano una volta di più i tratti di un popolo eternamente sospeso tra un eroismo (uno spirito di sacrificio) disperato e privo di retorica e un fatalismo accettato con amara rassegnazione: «A ogni generazione è toccata una guerra, e tanto sangue. Come potremmo essere diversi? Come potremmo non essere fatalisti?» I (bielo)russi non sono affatto cambiati dai tempi di Tolstoj. E' solo cambiato il modo di fare la guerra, che ora si combatte anche in tempo di pace. (Giuseppe Culicchia per Tuttolibri, La Stampa)
Titolo e contributi: Preghiera per Černobyl' : cronaca del futuro / Svetlana Aleksievič ; traduzione dal russo di Sergio Rapetti
Pubblicazione: Roma : e/o, 2015
Descrizione fisica: 293 p. ; 21 cm
EAN: 9788866327141
Data:2015
Lingua: Italiano (lingua del testo, colonna sonora, ecc.)
Paese: Italia
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